Recensione del disco – IN QUALCHE PARTE DEL MONDO
Recensione del disco “In qualche parte del mondo” di Davide Casu
É difficile dire cosa avremmo pensato di Luigi Tenco se la sua vita non avesse incontrato quella strana fine, se avesse proseguito con quella carriera così intrisa di intimità che forse non avrebbe retto alla carica ideologica degli anni immediatamente successivi o all’istintività del primo panorama rock italiano.
Scriveva con una semplicità disarmante, fino all’oblio del carattere poetico e formale della canzone d’autore, per prendere più la strada di un sincero e drammatico dialogo con se stesso, e poi di rado veniva fuori con testi di carattere più sociologico che ideologico: La ballata dell’amore, la ballata della moda ecc.
Purtroppo, a cinquant’anni di distanza, continua di più a far parlare quella tragica fine piuttosto che quella brillante esperienza compositiva, agli albori della canzone d’autore.
Sequenze melodiche dirette, eppure raffinate, da vero musicista qual’era Tenco, incrociavano parole usate alla medesima maniera, senza fronzoli eppure portandosi dietro il retaggio di ottime letture.
Tenco faceva a cazzotti col mondo tanto quanto la sua musica, e seppur l’uomo abbia smesso di combattere, la sua musica continua a farlo per lui. Uno scontro tra vita sociale e solitudine, tra rumori e silenzi, tra modernità e tradizione, tra città e campagna.
Abbiamo sentito vari Tenco in questi anni, ed è facile ammettere che, per quella bellezza compositiva propria dell’autore, i risultati siano sempre stati più che soddisfacenti, se per soddisfacente intendiamo il mero bisogno di sentire buona musica, ma nessuno è riuscito a far emergere l’universo poetico di Tenco, prenderlo dagli anni ’60 e farlo rivivere alla luce del XXI secolo…
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